Siamo tutti sulla stessa barca: la quotidianità al centro Müllholz

Intervista ad Aymen, operatore di un centro di prima accoglienza per minori non accompagnati

Di: Collettivo OSTinata
Foto di copertina: Sara Mengato

Aymen ha posto soltanto due condizioni a quest’intervista: che scriviamo il suo nome correttamente (e non Hi-man o High man, come gli si rivolge chi proprio non riesce a trattenere la simpatia), e che facciamo tutto come è meglio per noi. Lo prendiamo in parola e occupiamo un tavolino lungo la strada davanti alla Pizzeria Tito, di fronte a un Hotel con la facciata coperta di edera. Nel tempo che impieghiamo a prepararci, Aymen si scusa tre volte per tre telefonate diverse: deve concordare il piano dei turni per la prossima settimana, prendere un appuntamento al Bürgeramt per una Anmeldung e uno al Technisches Rathaus per rifare una patente. 
“È il mio giorno libero”, ci dice sorridendo mentre si accende una sigaretta. 

Perché hai scelto di incontrarci qui da Tito?

Da qui ho scoperto l’Est di Lipsia, poco dopo il mio arrivo in città nel 2011. Lavorando in pizzeria ho iniziato a conoscere le varie culture che popolano la zona. Fino a qualche anno fa, tutti i pomeriggi li passavo a giocare a basket al Rabet. In seguito mi sono anche trasferito qui vicino.

Negli anni passati hai lavorato a stretto contatto con rifugiat* e migranti. Dove?

Ho lavorato come volontario in diversi centri di accoglienza, tra cui quello alla Bayerischer Bahnhof e nel centro temporaneo per rifugiati a Schönefeld allestito per l’emergenza umanitaria in Siria nel 2016. Nella prima fase ho lavorato con famiglie ai quali venivano assegnati alloggi in tempi brevi. Molte famiglie si spostavano volentieri nella zona Volkmarsdorf-Schönefeld e nei dintorni della Eisenbahnstraße perché il prezzo degli affitti era particolarmente basso.

Vi erano altri motivi per scegliere l’Ost?

Già dieci anni fa c’era una comunità migrante abbastanza numerosa rispetto ad altre zone della città. Credo che l’aspetto più importante siano i negozi, soprattutto i negozi halal dove si vende la carne che può essere consumata da persone musulmane. Ora si trovano in tutta Lipsia, ma ai tempi c’era chi, come mio zio, si faceva anche 20 chilometri di macchina per comprare la carne halal.

Qual’era la tua funzione all’interno dei centri di accoglienza per rifugiat*?

Ho iniziato come assistente generico. Essendo di madrelingua italiana, araba e tedesca, sono diventato poi mediatore culturale tra le strutture comunali e famiglie di rifugiat*. In seguito alla crisi dei rifugiati, ho iniziato a lavorare per diverse fondazioni private.

Ti è mai risultato utile sapere l’italiano?

Avendo a che fare con persone provenienti dal mondo arabo, o da quello subsahariano, talvolta dall’Afghanistan, l’italiano non mi è quasi mai servito. Ho solo un aneddoto: anni fa ho lavorato tre giorni alla Flüchtlingsunterkunft di Torgauerstraße. Qui trovai qualcuno che parlava italiano ed era passato dall’Italia prima di richiedere asilo in Germania. È durata poco, però, perché il terzo giorno tre adulti, che si spacciavano per rifugiati politici, mi hanno accerchiato e puntato un coltello allo stomaco. Per fortuna sono riuscito a risolvere la situazione senza drammi. Da quel giorno ho deciso di lavorare esclusivamente con famiglie e minori.

Ora di cosa ti occupi?

Al momento lavoro presso Müllholz e.V. come tutore di minorenni maschi con status di rifugiati senza accompagnamento, ovvero teenager che hanno raggiunto la Germania senza i genitori né familiari. Ad oggi, con i 60-70 ragazzi la struttura è piena. Essendo un centro di primo arrivo, gli ospiti non dovrebbero restare più di un mese, ma nella situazione attuale i ragazzi rimangono con noi fino a nove mesi. Questo è dovuto alla mancanza di alloggi e appartamenti condivisi a Lipsia. Facciamo un lavoro di supervisione in turni di otto ore, in modo che i ragazzi non rimangano mai soli. Li seguiamo nelle questioni mediche, scolastiche, burocratiche e, a volte, perfino in questioni giudiziarie; infatti siamo i tutori legali dei minori. È un lavoro di responsabilità, ma c’è anche molto altro. Facendo i turni di notte cerchiamo di organizzare attività in comune, come cucinare e pulire insieme. Bisogna tener presente che questi ragazzi arrivano completamente soli. 

È possibile ricostruire il tragitto percorso dai ragazzi prima di arrivare a Lipsia, ammesso che Lipsia sia la loro destinazione?

In alcuni casi vengono fatti espatriare dai genitori per non essere arruolati nelle prime linee dell’esercito siriano. Abbiamo avuto ospiti minorenni con ferite e mutilazioni. Altri sono scappati dall’Ucraina nell’ultimo anno. Negli ultimi due mesi, invece, c’è stata un’ondata di ragazzi africani, soprattutto somali. Questi arrivi sono probabilmente da ricondurre a motivi politici: la Russia sta elargendo passaporti con visto russo o bielorusso che servono in realtà a raggiungere l’Europa. Passando per la Germania si consegnano quindi alla polizia che li porta da noi. Di trenta ragazzi africani solo tre alla fine sono rimasti al centro; per la maggior parte era una tappa di passaggio per proseguire verso Berlino o altre città tedesche. Per quanto ne so, pochi lasciano la Germania, perché le regole per richiedenti asilo permettono di rimanere con relativa facilità e si lavora per far arrivare anche i genitori. 

Come procede il percorso di integrazione?

I ragazzi vanno ogni giorno al corso di tedesco offerto dalla fondazione. Abbiamo anche ragazzi che sono qui da più tempo e vanno nei corsi DAZ (Deutsch als Zweitsprache) delle scuole di Lipsia, come hanno fatto i miei fratelli quando sono arrivati in città per approfondire il tedesco. Quando la lingua migliora vengono inseriti gradualmente nelle classi con i madrelingua tedeschi. Alcuni, quelli che hanno imparato più rapidamente la lingua, sono già da vari mesi nelle classi regolari e hanno un ottimo rendimento.

Avete un supporto psicologico che assiste gli ospiti del centro?

Fin da quando ho iniziato a lavorare al centro, ho notato che tanti ragazzi hanno problemi a dormire. Passano la notte al telefono e la mattina non riescono ad alzarsi con conseguenze negative sull’umore. Insieme a mio fratello sono l’unico tutore che sa l’arabo e ho trascorso tanto tempo a parlare con i ragazzi. Ascoltandoli è emerso che alcuni hanno paura di chiudere gli occhi e dormire: non è facile immaginare i traumi che hanno sofferto. Su mia iniziativa, dopo aver osservato a lungo lo stato emotivo dei ragazzi, abbiamo preso contatto con degli psicologi. Nonostante qualche resistenza dovuta ad aspetti culturali, hanno accettato di intraprendere la terapia e abbiamo già notato miglioramenti: molti ragazzi adesso riescono ad addormentarsi da soli senza avere attacchi di panico.

Vorresti continuare a fare questo lavoro?

È un lavoro che mi piace. Creare un rapporto di fiducia con i ragazzi e aiutarli a superare un momento così difficile della loro vita mi dà molta soddisfazione. Sto promuovendo le attività sportive, principalmente le arti marziali, fondamentali per imparare ad autodisciplinarsi e usare le energie in modo costruttivo. Alcuni ragazzi giocano a calcio nella squadra giovanile della Roter Stern di Connewitz, altri a Schönefeld. La passione per lo sport è stata di grande aiuto anche per migliorare il rendimento a scuola o al corso di tedesco. Gli insegnanti sportivi si coordinano con la scuola: chi va male o non si presenta in classe, poi non gioca la domenica. In generale, posso dire di sentirmi pienamente coinvolto quando lavoro al centro. È importante che i ragazzi si fidino di me e che imparino a interagire con gli altri colleghi dei servizi sociali quando io non sono di turno. Ci deve essere fiducia reciproca se vogliamo che ascoltino i nostri avvisi e raccomandazioni, perché Lipsia non è sempre un luogo idilliaco.  

Cosa intendi quando dici che Lipsia non è sempre un luogo idilliaco?

In passato abbiamo ospitato un ragazzo che soffriva di schizofrenia e qui a Lipsia aveva iniziato anche ad avere problemi di dipendenze. Noi cerchiamo sempre di non lasciare indietro nessuno, anche gli altri ospiti lo hanno incluso, coinvolgendolo nelle loro attività e prendendosi cura di lui perché, come ripeto sempre, siamo tutti sulla stessa barca. Questo ragazzo sentiva le voci. Una volta, eravamo nel cortile del centro alle tre di mattina a fumare una sigaretta, perché lui aveva problemi a dormire e mi disse che sentiva delle grida, ma ovviamente non c’era nessuno. Poi è passata una ragazza e lui si è messo a urlare, a insultarla e ha provato a metterle le mani addosso. L’ho fermato. A quel punto si è scusato ed è scoppiato a piangere e mi ha detto “io ero come te, stavo bene, guarda ora come sono diventato, parlo da solo, la gente mi fissa, quando attraverso la strada non guardo neanche più, non m’interessa”: era lucido. Ho chiamato subito il suo responsabile. Il giorno dopo hanno mandato l’ambulanza e l’hanno portato in psichiatria. L’hanno legato al letto e riempito di farmaci. Dopo tre giorni però ce lo hanno riportato al centro. Gli avevamo consigliato di tornare in ospedale, ma si è rifiutato, “lì sto male, mi legano”, ci diceva. Fumava erba e hashish, cosa che aggravava il tutto. E quindi sì, abbiamo anche situazioni di questo tipo. 

Al di fuori del centro, come giudichi il livello di integrazione tra i giovani nel quartiere in cui vivi? Che prospettive hanno oggi i giovani che si trovano a vivere nell’est di Lipsia?

Le prospettive della gente che abita qua sono molto positive. Prendiamo ad esempio il sistema degli Ausbildungen: sono uno strumento che permette di integrarsi velocemente. Attraverso il lavoro si accede alla casa, alla patente, fino alla conquista delle cose quotidiane, come andare al ristorante. Lipsia è una città che cresce rapidamente e accoglie molt* rifugiat*. In particolare nell’Ost c’è una concentrazione di migranti per ragioni essenzialmente culturali. Come ho già accennato, la semplice presenza dei ristoranti halal permette alle famiglie di uscire a cena fuori, fare una passeggiata, e di non restare isolati come avverrebbe in un paesino. È una cosa positiva e negativa allo stesso tempo: vi è infatti il rischio che la loro quotidianità non esca da questo quartiere e che il processo di integrazione si blocchi. 

La solidarietà ai rifugiati è ancora un tema importante. Ci sapresti dare esempi concreti di solidarietà? 

Mi viene in mente l’Heizhaus, lo skatepark a Grünau. Lì ho tenuto corsi di basket per i ragazzi. Avevo una collega di lavoro che organizzava corsi di nuoto per le ragazze col velo. Voleva ottenere un posto privato in cui le ragazze potessero sentirsi a loro agio per nuotare e alla fine ha avuto molto successo. Sono queste le cose che funzionano in concreto: corsi di disegno, fare sport, andare allo zoo, gite al parco. Bisogna fare in modo che questi ragazzi scoprano la città, che escano da quella sorta di trance in cui, se non iniziano subito un processo di integrazione, rischiano di rimanere bloccati per sempre.

Un commento

  1. […] Parlando con Aymen, operatore di un centro per rifugiati minorenni (leggi qui l’intervista), ci ha sorpreso la scarsa importanza che viene attribuita alla salute mentale dei e delle migranti. È un tema ancora poco rilevante? Il fatto che le persone con Migrationshintergrund (background migratorio) soffrano di traumi o di malattie che si protraggono nel tempo è noto all’interno delle istituzioni. Nonostante questo ogni intervento migliorativo è bloccato da anni sia a livello statale che federale. In concreto manca le risorse per la cosiddetta Traumatherapie (terapia dei traumi). A ciò si aggiungono il problema della lingua e quello della burocrazia, in particolare la lunghezza delle liste d’attesa e la durata limitata dei trattamenti emergenziali. Inoltre, queste persone sono spesso senza documenti e dunque accedono in modo insufficiente al sistema sanitario nazionale.(Per approfondire leggi qui l’articolo di IAL sul sistema sanitario tedesco) […]

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